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mercoledì 5 settembre 2007

Divagazioni in attesa di qualcosa di più consistente in preparazione

Qualcosa di buono in giro per il Mondo!
Beh... sì... forse... prima o poi... ma già oggi... anche... così... perché no?... Boh!
Bah...
Impressioni sui restauri
Sono andato con Liam a visitare il Castello Sforzesco, con l'occasione ho avuto modo di rivedere la michelangiolesca Pietà Rondanini restaurata. Con grande delusione ho inutilmente cercato di provare, di fronte all'ammasso informe di marmo bianco in cui è stata trasformata, la grande emozione di circa trenta anni fa di fronte all'anima grondante dolore, trasfigurata, indubbiamente, quella incallita nella senescenza dello stesso artista, che essa rappresenta.
Non è la prima volta che ciò mi accade. Vidi a suo tempo trasformarsi in un che di illustrazioni ipertecno i sogni in precedenza accumulati nel silenzio soffuso e pastoso della tridimensionalità del Cenacolo davinciano di fronte alla sua versione restaurata, e altrettanto dicasi dei misteriosi e impenetrabili segreti della volta della Cappella Sistina, incautamente disvelati e riversati coram populi, da esperti addetti ai lavori.
Ricavo da tutto questo un'intuizione, forse non peregrina: secondo me, i Grandi Artisti del passato sapevano dove sarebbero andati a depositarsi i cumuli di polvere, i segni, i nascondimenti del trascorrere del tempo, quella che si dice "la patina d'antico" e l'effetto che ne sarebbe derivato (tanto sembrerebbe, più che ipotetico, abbastanza scontato, sol che si pensi che non esisteva nelle epoche di riferimento altro che acqua e spazzole, e non si prevedevano interventi ad alta definizione) e in funzione anche di tali valutazioni ponevano in essere le loro opere.
Alla luce di quanto sopra, ferma restando l'utilità e necessità dei restauri, io credo che se ne debba tener conto da parte dei tecnici, almeno soffermarsi a pensarci, anziché darci dentro di brutto, esprimendosi alla grande, e fornendo il massimo delle proprie prestazioni, al massimo, ovviamente, delle retribuzioni; il che ci riporta automaticamente, al minimo della umiltà intellettuale di fronte ai giganti dell'arte, e dello spirito critico (nanismo della sensibilità e della riflessione).
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Considerazioni sulla ricerca
Sembra abbastanza lapalissiano che la ricerca (scientifica, artistica, letteraria, religiosa, sentimentale, o semplicemente su qualcosa di pratico e ordinario) debba mirare a trovare qualcosa, anche se non ci si riesce.
Essa, peraltro, è bella e appagante anche in se stessa. Ma se è esplicitamente e palesemente fine a se stessa, che cosa è? Non è certo "ricerca"... una provocazione, forse.
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E' meglio il peggio o il meno peggio?
Domanda retorica. Perché?
Un imprenditore italiano 50enne (non fondatore, di seconda generazione) all'apice della floridità dell'azienda, di notevoli proporzioni e con molti impiegati, maestranze e indotto, vende tutto ai francesi e si ritira a Santo Domingo a fare una vita da nababbo.
Un altro imprenditore italiano (stessa età, fondatore) all'apice della floridità dell'azienda, cerca, comunque, di incrementarla, modificarla, si dà da fare per creare un ricambio per farla crescere ancora, con conseguente aumento di lavoro quantitativo e qualitativo e, sia pure secondo la sua particolare ottica, ovviamente, che può non essere condivisa, ovviamente, cerca di interpretare le convenienze per il Paese (nonché per le proprie attività e i propri interessi, è normale); partecipa, addirittura in prima persona alla vita pubblica del Paese (il che può anche essere censurabile, intendiamoci). Condivide, in ogni caso, la situazione dell'essere cittadino italiano e vivere in Italia.
Chi dei due buttereste dalla cima della montagna, rispondendo così, implicitamente alla domanda (retorica)?
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Burlamaccate sui politici italiani
I politici italiani hanno fatto una scoperta fondamentale: solo se fanno casino sono in auge [ (Pannella docet, ma vedi: Sgarbi, Cossiga l'amerikano, Mastella il polpo, i ministri contemporaneamente al governo e in piazza a protestare contro il governo, da ultimo i fucili di Bossi, e così via) (v. le espressioni degli strombazzanti giornali, ormai mere casse di risonanze di questa o quella lobby "alto là di questo o di quest'altro personaggio" "è scontro" "è polemica" e via blaterando) ], altrimenti fanno "la fine" dei loro colleghi stranieri [e parliamo di Francia, Inghilterra, Germania, USA, non di Repubbliche delle banane (dove invece vige l'andazzo all'italiana, come le cronache, ripetutamente ci confermano)]. Quale è la "fine"? Tranne 5 o 6 dei suddetti, tutti gli altri sono degli illustri sconosciuti.
Ma precisiamo i significati... l'equazione è:
FARE CASINO = farsi (prevalentemente) i cazzi propri (non necessariamente di stretta osservanza economico-monetaria).
NON FARE CASINO= fare (prevalentemente) gli interessi del proprio Paese (come dagli esempi sopra menzionati si deduce chiaramente).
Poiché i ns. politici sono particolarmente tipizzati dal non fottersene un cazzo degli interessi del Paese, e particolarmente divorati dalla libido dei cazzi propri (in un contesto in cui, poi, la torta c'è ed è cospicua. Bisogna stare attenti a non svariare troppo e lasciarsi fuorviare dalle battute sarcastico-ridanciane sulle repubbliche delle banane) sono, conseguentemente, particolarmente attivi e presenzialisti nel fare casini e casini, casini sui casini e via incasinando.
A quanto pare solo qualche tagliola li può fermare. Ma sono nati o non sono ancora nati i bracconieri?
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La convenzione GIUSTIZIA
Tempo fa, in una trasmissione TV, si contrapponevano incidentalmente due tesi:
La GIUSTIZIA è una convenzione sociale utile per l'ordine pubblico e la soddisfazione sociale dei cittadini; la ricerca della verità, in astratto, è mera utopia, ed è ipocrisia sostenere il contrario (COSSIGA).
La GIUSTIZIA è ricerca della verità. Pur sbagliando umanamente, la Magistratura è impegnata nella sincera ricerca della verità (PECORARO SCANIO).
Quale delle due posizioni può essere maggiormente condivisa?
Uno dei motivi di rallegramento (ce ne sono altri e ci sono anche motivi di rimpianto) con me stesso per essere passato dalla Magistratura alla Avvocatura è quello di saperne di più.
E' quanto sente, probabilmente, un agente dei servizi segreti o il Cardinale che officia il Miracolo di S. Gennaro.
E quale è stata la mia scoperta del mistero?
Sarei tentato dal comportarmi come i suddetti personaggi e non dirlo.
Ma sono un comune mortale, quindi:
I magistrati [a parte i rari e deprecabili casi di ragion di Stato o ragion di tasca (v. potere) - barare al gioco non merita menzione] sinceramente amministrano la giustizia, ricercando la verità nei fatti, sia pure entro i limiti dell'umana percezione e dei mezzi a disposizione, ma sono costantemente soggetti a condizionamenti, per lo più inconsapevolmente, dell'opinione pubblica, dei depistaggi vari (a movente neutro, a fin di bene o a fini turpi che siano), delle correnti di pensiero che si affermano, della simpatia o antipatia, della risonanza degli eventi sub judice, dello spirito di vendetta o allarme sociale in atto e così via.
Gli avvocati, dal canto loro, sono più presenti "dietro le quinte", quindi sanno quale è l'enorme incidenza dell'ERRORE GIUDIZIARIO, sia in senso "assolutorio" che "condannatorio"; cioè (per intenderci estremizzando, ma ci sono ovviamente, varie sfumature) quanti innocenti vengono condannati e quanti colpevoli la fanno franca, quanti soggetti portatori di buone ragioni non le vedono riconosciute e quanti, pur essendo in torto, vengono premiati.
Inoltre, in modo particolare in Italia, ma anche altrove le cose vanno più o meno così, tra avvocati e magistrati, c'è una separatezza totale e diffidenza reciproca, quindi nessuna possibilità di fondere le esperienze. Questa situazione non può attenuarsi per qualche più o meno coraggiosa riforma... forse solo se... un giorno... ci saranno riforme veramente radicali e innovative.
Conseguentemente, almeno allo stato attuale, alla luce realistica delle considerazioni svolte, per la complessità e la articolata struttura dell'istituzione e del concetto della Giustizia, pur dispiacendomi, devo affermare che appare più condivisibile l'opinione della Giustizia come convenzione.

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