Amo particolarmente il teatro. Ho scritto anche un testo teatrale, di recente, per lo spazio teatrale PiM di Milano, del quale spero possano occuparsi prossimamente Monica Liguoro e Massimo Bologna, nonché Simone Ricciardi, e quindi, possa essere rappresentato; un testo che, significativamente, per quanto dirò, è un po' dramma, un po' commedia. Parlo, quindi, di quanto segue in termini teatrali, anche se non credo abbia molto a che fare con il teatro.
Appartengo alla generazione dei sessantenni, una volta, incendiari. Noi siamo quelli che hanno sperato di poter davvero cambiare il Mondo; di poter pervenire ad un'epoca di grande civiltà dove potessero affermarsi la felicità e la giustizia universali, dove non esistessero frontiere e la libertà individuale fosse soprattutto libertà di amare in tutti i sensi, e coesistesse armonicamente con il benessere sociale, se non una specie di nuovo Paradiso Terrestre, di dantesca ispirazione, questa volta per tutti, un progetto di serena e duratura vivibilità della Terra, la realizzazione del quale procedesse contemporaneamente alla ricerca di Dio, e l'una e l'altra cosa, ciascuno portasse dentro di sé; un sé eterno e quindi esso stesso, forse, espressione della Divinità.
Tutto questo è crollato, si è rivelato utopia irrealizzabile e quindi è rimasta a quelli della mia generazione che ci avevano creduto, solo amarezza e un vago senso di morte.
Abbiamo dovuto arrenderci o, per dirla alla Paulo Coelho (Lo Zahir pag.259), ci siamo arresi alla 'realtà'.
Cadaveri imbiancati si diceva degli Andreotti, tanto per non fare nomi, e quei cadaveri imbiancati erano invece vita, la 'vera vita', come dimostra il fatto che il suddetto è, guarda un po', ancora vivo e vegeto, così come è vivo,vegeto e superattivo un Mike Bongiorno (peraltro grande professionista e maestro della comunicazione), o un Francesco Cossiga e, per la legge del contrappasso, 'cadaveri imbiancati' sono invece diventati i vari Giorgio Gaber, Enrico Berlinguer, Che Guevara (anzi il suo assassino della CIA è vivo e vegeto, oggi arzillo vecchietto risiede a Miami, in Florida e rilascia interviste a destra e a manca, anche se si vedono affiorare sul suo volto, tetri da rabbrividire, i segni della cattiva coscienza; non è lui il mito, ma colui che ha ucciso a sangue freddo), Mao Tse Tung e via salmodiando.
Il nostro era dramma, ma, ahimé, non è finito, si è trasformato in commedia.
Di fronte a quanto ho sopra detto, vedere quelli che rappresentavano, o, in linea discendente, avrebbero dovuto continuare a rappresentare quelle tensioni ideali e quel respiro esistenziale, coloro nei quali avevamo riposto sogni e speranze, e ai quali avevamo riconosciuto capacità di esserne avanguardia, promotori delle nostre illusioni, di quello che volevamo, l'imagination au pouvoir si diceva, non arrendersi, drammaticamente, appunto, rinunciare, soccombere, denunciare, per carità, senza arrivare al punto di, addirittura, morire, come i predetti Gaber, Berlinguer, Guevara, o Sartre, de Beauvoir, Luther King, gli stessi Enrico Mattei, Aldo Moro o chi altro si voglia considerare in questa chiave di lettura, ma sostenere bellamente, tra una regata e l'altra (tanto per fare un esempio, inutile dire di chi si parla, con quei baffetti da sparviero), che tutto continua come è sempre stato (soprattutto la poltrona), tra due gnocche del personale, che la Presidenza della Camera è un segno decisivo del potere popolare (idem senza baffetti da sparviero, ma con sigaro cubano) o, quanto meno, che manca poco, si è ad un passo da esso, tra un conato di protagonismo e l'altro, che dobbiamo prendere esempio da chi? Ma dagli americani, perbacco (Musso, sempre tanto per non fare nomi, ma è solo un esempio), o fare come i candidi Piero Fassino, et similes, che paiono non accorgersi di nulla di tutto ciò che accade intorno a loro, e continuano a riempirsi la bocca di Afghanistan, Israele, conflitti di interesse, TAV, discariche, gas serra, l'italianità della Telecom e via blaterando, oppure decretare l'assunzione in gloria addirittura di ex S.S. (sapete a quali personaggi mi riferisco), ammiccare alla Lerner a pseudonostalgie studentesche, che vengono attualizzate e, in tal modo, cristallizzate o imbalsamate, e così via, è come se a teatro, nel corso della rappresentazione di un dramma dagli accesi toni emotivi, silenzio, tensione, scene soffici, scure, si accendessero improvvisamente luci forti e violente e tutto si trasformasse, senza alcun senso, in una burletta a tarallucci e vino, con tanto di tric-ballac, putipù e scetavajasse; una doccia fredda, un'orgia di luci e di suoni al posto della silente e carica riflessione, della acuta tensione, da potersi toccare con mano, o da sentir volare una mosca, potrebbe dirsi.
Il loro chiacchiericcio o vuoto cicaleccio offende, la loro abilità e il tempismo nel riciclarsi offende, la strumentalità della loro sopravvivenza (in senso metaforico). Noi siamo gli sconfitti, i morti (anche qui in senso metaforico) viventi (qualcuno per non morire, per non affogare nella commedia, ha sostituito con la propria drammaticità o drammatizzazione personale il dramma che, nella nostra gioventù, era nella società e nel mondo, ed ha drasticamente cambiato bandiera, ma non so se funziona), tuttavia testimoni, per un domani, per il trasformarsi della vita di un domani, di un volo dell'angelo che poteva essere un lungo volo nel cielo terso dell'esistenza, ed invece è stato il precipizio, il fosso, il cielo inquinato e torbido dell'esistenza, mentre loro sono vivi e vitali, ma soprattutto saltellanti e giulivi, alla faccia delle nuove generazioni, alla faccia del tanto gettonato "largo ai giovani", alla faccia di far sì che i protagonisti della propria vita ne siano essi stessi inventori e artefici e non i 'gran vecchi', il che una volta si contestava proprio ai 'cadaveri imbiancati' di allora; e questo chiude il cerchio. Questa commedia sulle sorti di un'intera generazione che cosa è, in sé, se non appunto un dramma, anzi una tragedia?
E qui mi fermo per un po'. Questo blog deve fermentare per un po' come il mosto e le bucce d'uva separate dal graspo nei tini; quindi stateve buono e jammuncenne a' casa.
Adiòs (pe' mmo').
5 commenti:
E la supponenza e l'arroganza con cui si propongono? Fini a se stesse, perché qui non c'è la nouvelle vague, non c'è una nobile tradizione. Supponenza e arroganza sono valori in sé: il camminare, anzi solenne incedere o affrettata noncuranza, col telefonino all'orecchio, tra ali di folla osannante o assolutamente indifferente, ma ostentata come colma di gratitudine e ammirazione, il sottraris ai microfoni con fastidio, l'offrirsi con accondiscendenza... altro che l'imagination au pouvoir.L'imbécillité au pouvoir!
Anche tra gli imbecilli c'è una scala gerarchica di auto blu che a seconda delle cilindrate distinguono i capini, capicchi, capetti, capi capi, caponi e via dicendo, così come il numero di portaborse
Felipe Gonzàlez, tanto per dirne una, oltre all'uomo politico ha fatto l'avvocato e ultimamente l'antiquario, Al Gore il regista cinematografico e così via. Solo Andreotti non sa fare altro che pensare agli italiani?
Cari miei connazionali forse i nostri uomini politici ci pensano troppo!
Ma secondo voi Dario Fo meritava il pre mio Nobel per la letteratura più di Eduardo De Filippo, Scarpetta, Totò?
Ma gli uomini politici italiani, oltre a pensare (ai loro interessi, ovviamente) che altro sanno fare?
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