(ma vale anche per analoghi sentimenti parentali, di colleganza, di militanza, l’amore, con diverse peculiarità) non si può obiettivizzare.
Mi spiego: certo non può essere ridotta a caricatura accettando tutto ciò che fa un amico, acriticamente, senza neanche porsi il problema, come in certi b-movies, o enfatizzata (il che finisce con l’essere poi la stessa cosa) con lirismi e assolo che, proprio per questo, non hanno nulla a che vedere con il comunicare, essere amici; ugualmente non si può sposare qualsiasi nefandezza di un amico, come avviene nella mafia, salvo al eliminare l’altro in presenza di mutate condizioni, o giustificare tutto, come nel terrorismo, salvo a dissociarsi e pentirsi e proporsi così come eroi solitari, arrovellati in interiori sofferenze; tanto meno si può ora aderire a discutibili scelte di un amico, ora dissociarsi in base a calcoli utilitaristici ed auto promozionali.
Tolto tutto questo, non si può, peraltro, obiettivizzare l’amicizia, spogliandosi di qualsiasi sentimento o irrazionale trasporto e atteggiandosi, in vicende particolari richiedenti una presa di posizione, nei confronti dell’amico, come se fosse un estraneo.
Ciò è freddo, utopico e irrichiedibile.
Nel valutare l’operato in senso positivo o negativo di un amico, ci sarà sempre il condizionamento del rapporto affettivo esistente.
Si tenderà sempre ad ampliare le cose buone attinenti e smussare quelle cattive.
Nel valutare un torto, o presunto tale, subito da un amico, si sarà sempre più severi e speciosi che non rispetto ad un estraneo, per l’affetto che, al nostro amico, ci unisce.
Così è sempre stato (la storia, come la cronaca, la mitologia, la letteratura classica e moderna sono piene di esempi) e sempre sarà finché gli Uomini su questo Pianeta, nel bene e nel male, continueranno ad identificarsi come tali, e non si trasformeranno in robot o in belve.
L’importante è non debordare nell’eterogenesi dei fini, come direbbe un mio amico – siamo in tema, appunto, l’arricchimento dell’amicizia è anche questo - il paradosso che chiude il cerchio.
Mi spiego: certo non può essere ridotta a caricatura accettando tutto ciò che fa un amico, acriticamente, senza neanche porsi il problema, come in certi b-movies, o enfatizzata (il che finisce con l’essere poi la stessa cosa) con lirismi e assolo che, proprio per questo, non hanno nulla a che vedere con il comunicare, essere amici; ugualmente non si può sposare qualsiasi nefandezza di un amico, come avviene nella mafia, salvo al eliminare l’altro in presenza di mutate condizioni, o giustificare tutto, come nel terrorismo, salvo a dissociarsi e pentirsi e proporsi così come eroi solitari, arrovellati in interiori sofferenze; tanto meno si può ora aderire a discutibili scelte di un amico, ora dissociarsi in base a calcoli utilitaristici ed auto promozionali.
Tolto tutto questo, non si può, peraltro, obiettivizzare l’amicizia, spogliandosi di qualsiasi sentimento o irrazionale trasporto e atteggiandosi, in vicende particolari richiedenti una presa di posizione, nei confronti dell’amico, come se fosse un estraneo.
Ciò è freddo, utopico e irrichiedibile.
Nel valutare l’operato in senso positivo o negativo di un amico, ci sarà sempre il condizionamento del rapporto affettivo esistente.
Si tenderà sempre ad ampliare le cose buone attinenti e smussare quelle cattive.
Nel valutare un torto, o presunto tale, subito da un amico, si sarà sempre più severi e speciosi che non rispetto ad un estraneo, per l’affetto che, al nostro amico, ci unisce.
Così è sempre stato (la storia, come la cronaca, la mitologia, la letteratura classica e moderna sono piene di esempi) e sempre sarà finché gli Uomini su questo Pianeta, nel bene e nel male, continueranno ad identificarsi come tali, e non si trasformeranno in robot o in belve.
L’importante è non debordare nell’eterogenesi dei fini, come direbbe un mio amico – siamo in tema, appunto, l’arricchimento dell’amicizia è anche questo - il paradosso che chiude il cerchio.